Made in Italy, arriva il nation brander

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| Giugno 15, 2016
Made in Italy, arriva il nation brander

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In tempi di brand marketing e di italian sounding arriva dagli Usa una nuova figura professionale: il ‘nation brander’. Negli ultimi anni, infatti, si è diffusa una sempre maggiore attenzione nei confronti delle problematiche connesse con la gestione dell’immagine nazionale. In Italia, in particolare, la necessità di massimizzare l’attrazione di investimenti esteri e la necessità di contrastare fenomeni come l’italian sounding sta  rapidamente ponendo all’attenzione degli addetti ai lavori l’importanza di mettere in campo strategie comunicative collegate alla promozione dell’immagine del nostro Paese, attraverso strumenti di ‘public diplomacy’ e ‘nation branding’.

La ‘public diplomacy’ è una disciplina molto diffusa nel mondo anglosassone, e in particolare negli Stati Uniti, che si pone l’obiettivo di influenzare la percezione che un’opinione pubblica straniera ha di un dato Paese. Collegato alla ‘public diplomacy’, il ‘nation branding‘, svolge un ruolo operativo mirato specificamente alla gestione dell’immagine e della reputazione di una nazione e vede nel ‘nation brander’ la sua figura professionale di punta.

Carmelo Cutuli, professionista della comunicazione e delle relazioni pubbliche, da anni impegnato nella promozione dell’immagine del nostro Paese all’estero e ‘nation brander’ ante-litteram, tratteggia le linee essenziali del ‘nation brander’, sottolineando come essa sia ”destinata ad evolversi presto da settore di specializzazione a vera e propria figura professionale” e scommettendo che in un prossimo futuro ”il ‘nation brander’ sarà una figura ampiamente riconosciuta e diffusa nel anche nel nostro Paese”.

Cutuli, inoltre, abbozza una ideale ‘job description’ del ‘nation brander’, partendo dalla base formativa: il ‘nation brander’ deve necessariamente acquisire tutte le tecniche che ”possano permettergli un’agevole analisi in merito alla gestione del posizionamento, dei punti di forza e debolezza e dell’analisi dei risultati, per cui sicuramente una laurea in economia, comunicazione o marketing può costituire una base tecnica fondamentale”.

Sono però l’esperienza e le skill necessariamente trasversali rispetto ai settori della comunicazione, dell’informazione giornalistica, delle relazioni pubbliche e dello stesso marketing a caratterizzare maggiormente il profilo e, tra le soft skill, spiega, ”pure le attitudini culturali e artistiche, abbinate a un atteggiamento aperto e multi-culturale, possono sicuramente risultare di grande utilità permettendo al ‘nation brander’ professionista di riconoscere gli aspetti basilari di altre culture e interagire con essi attraverso tool comunicativi creati ad-hoc”.

“Orientare l’opinione pubblica – assicura – è sempre un’operazione delicata e lo risulta maggiormente quando l’opinione pubblica è di un altro paese, per cui probabilmente un aspetto importantissimo che caratterizza questa nuova figura è quello dell’apertura mentale”.

Cutuli, che può vantare un’esperienza ventennale nel settore della comunicazione e delle relazioni pubbliche, siede nel board della Italian American Chamber of Commerce of Midwest di Chicago ed è General Secretary to Italy del Civitan International, identifica anche gli eventuali sbocchi professionali per un ‘nation brander’: ”Già oggi sono molteplici, potendo questa figura essere impiegata con profitto presso ogni realtà che ponga fra i propri obiettivi istituzionali la promozione dell’immagine del Paese, o anche di un territorio, presso un pubblico straniero. Possono essere pertanto interessate le Ambasciate italiane all’estero, gli enti di promozione nazionali e territoriali, le P.a. territoriali, associazioni e fondazioni culturali etc.”.


”In realtà, per quanto riguarda specificamente il settore del made in Italy, qualunque società che operi sui mercati internazionali -sottolinea – potrebbe ricorrere a un ‘nation brander’, anche solo informa consulenziale, al fine di armonizzare meglio le proprie attivitàdi promozione commerciale estera con i concetti base della ‘publicdiplomacy’ evitando, ad esempio, di contribuire inconsapevolmente alla diffusione di luoghi comuni o di alimentare il fenomeno dell’italian sounding”.


”Il ‘nation brander’ – conclude Cutuli – si pone, quindi, come profilo di alto livello, dagli sbocchi professionali molteplici e sicuramente in espansione, valutabile anche dal punto di vista dell’impegno civico, in quanto testimonial internazionale delle eccellenze di un Paese”.

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